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RAKASHIN

Ultimo Aggiornamento: 11/08/2015 14:04
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Post: 1.518
Città: MILANO
Età: 56
Sesso: Maschile
11/08/2015 14:04


Disteso su un giaciglio rialzato di foglie fresche, un vecchio elfo osservava l'affannarsi intorno a lui di alcuni studenti curatori. Gli piacevano quei giovani e tra tutti il suo prediletto era un mezzelfo di nome Onohare. Non era tanto l'essere tratta con grande riguardo, in quanto vecchio e saggio perfino in mezzo al suo popolo, quanto l'impegno che ci mettevano quei giovani virgulti in larga parte elfi puri, tranne qualche meticcio generalmente meno rispettato dei purosangue.
Era nella foresta nera del Sacro Romano Impero, o almeno di quel che ne rimaneva, da ormai molti mesi e il suo assistente personale durante le nottate travagliate piene di dolori fisici era proprio Onohare, che lo impegnava non poco facendogli mille domande, così che il suo corpo notasse meno le fitte alle ferite.

In una bella nottata di primavera, quando ormai erano trascorsi 3 anni dall'incidente, Rakashin si trovava in piedi vicino alla finestra della sua piccola stanza. Guardava le vette degli alberi e Onohare poco lontano gli teneva compagnia canticchiando. Respirare l'aria pregna dell'odore dei fiori era rilassante e lo faceva stare meglio. Quella notte iniziò il suo racconto, a partire dalla tenera età nelle foreste dell'Hampshire con un padre despota e attaccato alle proprie origini:

Spiegò quanto aveva imparato da quell'essere centenario che si era spento a quasi 800 anni, e aveva avuto il suo primo figlio a 600, di nome Aegnor. Era proprio Rakashin il fortunato, e sebbene crescere con un elfo tanto vecchio potesse sembrare orribile, era invece qualcosa di tanto semplice quanto equilibrato, poiché raggiunta una tale veneranda età la mente tocca dei picchi di subliminale concretezza.

Passarono insieme molti anni a cacciare nei luoghi riservati al popolo Areldar, a battere nuove piste, a raccogliere i frutti maturi e ad essere in totale armonia con la natura che li circondava. A tavola parlavano sempre e Aegnor raccontava decine di storie a Rakashin, storie di battaglie e guerre, storie del popolo elfico, di canti e di edificazioni di città. Una sera, sorseggiendo vino rosso, gli raccontò anche di un evento che aveva segnato la sua infanzia, quando ancora Aegnor abitava su di un'isola incantata di nome Avalon, in quella che fu l'ultimo giorno di Aegnor in quel regno incantato e protetto dalla divinità dai tre volti:
“Era tutto buio, c'erano grida ovunque. Un lago, un'isola nel suo centro segnata dalle nebbie. Torce che splendevano nella notte; sulle sponde,uomini ammantati di rosso con pennacchi sugli elmi e con aquile incise sui pettorali, tutti ben armati e in formazione: legionari. Di fronte a loro, in contrapposizione, un esercito di donne e pochi uomini, con quest'ultimi che intonano canti di guerra e le prime che gridano contro i soldati. Elfi e creature incantate si ritiravano nei boschi, lasciando che gli uomini se la sbrigassero tra loro. Poi un corno, l'attacco che iniziava, i legionari che caricavano le file avversarie: gli uomini vennero trucidati, e alle donne vennero strappate le vesti per poi essere in seguito violate. Druidi e sacerdotesse, tutto sembrava finire in quegli sprazzi di luce dovuti alle torce. Quelle grida durarono tutta la notte, fino all'alba. Avalon incontrava la civiltà per la prima volta, dopo secoli di magia e calma piatta.”

Finito questo racconto Rakashin, in cui narrò gli eventi accaduti poco prima dell'anno 100 dopo cristo in tutta la Britannia durante la conquista Romana, guardò Onohare e gli disse che era stanco. Dunque si coricò nel giaciglio di foglie fresche e riposò a lungo con gli occhi aperti fissi sul soffitto di legno della sua stanza. Era stanco, e non tanto per l'età avanzata, quanto per quella ferite nel corpo e nell'anima. Ferite a cui avrebbe tanto voluto porre rimedio, per ripartire in qualche modo, e riuscire ad andare avanti.

Il giorno dopo Rakashin era più vivace, come se si fosse tolto un peso di dosso, e anche la lunga ferita alla schiena faceva meno male. Fece gli esercizi per distendere i muscoli, e incredibilmente non dolettero troppo. Era da molto che non sentiva più il suo corpo reagire così bene. Aveva perso molto del suo vecchio potere, sia per l'immobilità fisica sia per la debolezza dell'animo dovuta alle perdite passate. Ma qualcosa stava cambiando e sapeva di poter tornare ad essere il signore elfico che era in passato.

Quella notte Onohare non aveva turni, e dunque Rakashin si riposò in solitudine, ma la notte dopo il mezzelfo era di nuovo li a fargli compagnia, con tutta la vitalità dei giovani. E chiedeva all'elfo di continuare il suo racconto, cosa che il vecchio fece con vero piacere, dopo aver scoperto quanto potesse alleggerirlo. Quindi riprese il racconto, ma non come ci si aspetta da dove aveva finito l'ultima volta, no per nulla. Riprese dalla fine, quasi 500 anni dopo la notte in cui Aegnor gli raccontò quella storia su Avalon e su quanto aveva patito durante le conquiste romane. Quasi tutti quegli anni in mezzo contassero poco, iniziò da dove finiva la sua vita:

Anche gli elfi sognano. Questo lo sanno in pochi. Non dormono, questo è vero, ma cadono in una sorta di trance in allerta. Come se non bastasse la lunga vita, gli servono anche poche ore di sonno al giorno.

Quella era una notte più buia del solito, in cui nemmeno le sue capacità elfiche riuscivano a permettergli di vedere granchè. Intorno ad un fuoco da campo fatto con legna secca e fogli moribonde, si riposavano in tre dalle fatiche delle lunghe marce ripetute nelle ultime settimane. Il più anziano, Rakashin, doveva essere di guardia, ma si lasciò cogliere da una stanchezza quasi magica; o forse non era nemmeno la stanchezza: era qualcosa che sentiva dentro, qualcosa che covava da troppi secoli. Perse il contatto con la realtà, distrutto da cose che non aveva mai visto ma con cui era cresciuto: sognò esattamente quanto Aegnor gli aveva raccontato di quella nottata in cui i romani attaccarono Avalon. Vide i volti, le grida, i colpi inferti. Capì che sarebbe dovuto tornare sull'isola che lui stesso non vedeva da troppo tempo, ed fu solo allora che si riprese.

Con uno scossone Rakashin si raddrizzò di colpo, seduto con le spalle contro un albero. Il fuoco si era quasi spento. Un ramo però si ruppe poco lontano, poi dei sibili, e una dopo l'altra alcune freccie piombarono su di loro. Due colpirono Saharaniel, la compagna dell'elfo anziano, altre tre Glorfindel, suo figlio. Rakashin non ebbe quasi tempo di rimettersi in piedi che si ritrovò circondato da un manipolo di tre drow armati di pugnali e spade corte ricurve. I loro capelli argentati scintillavano in quell'oscurità. L'Areldar lottò come un leone, danzando con la conseute grazia elfica, volteggiando e affrontandoli uno per uno con le sue spade. Era un grande guerriero un tempo, o così narrano le storie di quell'antica creatura, ma il suo corpo quella notte si riempì di ferite, tagli, contusioni e cicatrici indelebili. I drow erano forti e colpivano sfruttando il loro numero, irridendo il loro avversario; poi alla fine uno di loro colpì semplicemente alle spalle l'elfo ormai stanco dal lungo combattimento, provocando una brutta ferita da taglio dalla spalla destra all'anca sinistra all'Areldar. Lui cadde in avanti, faccia nel fango, ormai prossimo alla morte, e ritornò in quella sorta di trance in cui gli elfi si rifugiano quando troppo deboli.

Il resto della storia era conosciuta anche dal mezzelfo, perchè l'elfo dai capelli corvini si riprese alcuni giorni dopo, in un letto di foglie ed erba, soffice come il materasso di piume più morbido mai creato. Vicino a quel giaciglio si affaccendavano alcuni curatori, che prestavano le cure indispensabili alla sopravvivenza dell'Areldar. Gli spiegarono che era stato salvato da un gruppo di scout elfi, giunti sul luogo dell'attacco guidati dalle risate dei drow. Lo avevano soccorso ma sfortunatamente era l'unico superstite. La notizia della morte della sua compagna Saharaniel e di suo figlio Glorfindel, creò una voragine nel cuore del bruno.
Si ritrovò così da solo, senza più nulla che non sé stesso. Sapeva solo di dover attraversare la Manica, per andare verso la Britannia e verso il luogo in cui crebbe: Avalon.

Quella notte il racconto terminò lì. Onohare non fece neppure domande. E nei giorni seguenti, con forza rinnovata, Rakashin riuscì a rimettersi in piedi.
La sua meta era Avalon, e appena riprese le forze si mise in cammino dopo aver salutato i suoi gentili consanguinei che tanto l'avevano curato, e su tutti Onohare. Alcune settimane più tardi raggiunse finalmente l'isola di suo Padre in una mattina più nebbiosa di altre, proprio alla fine dell'inverno. Cercava la sua storia, ormai giunto quasi al tramonto della sua esistenza già ben lunga: le storie narrate dal vecchio padre ormai morto da secoli. La Dea, i draghi, i cavalieri dei draghi, i paladini. Le antiche storie raccontavano di un'isola illibata, in cui sacerdotesse e druidi viveno insieme a creature incantate. Conosceva già bene l'isola della Dea, ma era stato assente da così tanto che probabilmente nessun conoscente era ancora vivo.
Era li alla ricerca del suo ultimo riposo, verso le aule di Mandos. Ma si sbagliava, perchè aveva ancora molto da dare.



Clan: Areldar
Allineamento: Legale-Neutrale

Descrizione fisica
Capelli: Neri lunghi
Occhi: Azzurro-verdi
Altezza: 2 metri
Peso: 85 kg
Età: oltre 600 anni
Fisico longilineo, magro ma tornito da muscoli da viaggiatore. Molte piccole cicatrici lo traversano ma quella più visibile è quella che dalla spalla destra arriva fino all'anca sinistra. Ha occhi saggi e nella loro pienezza si può scorgere quante traversie abbia vissuto, lunghi capelli di un nero corvino e incarnato pallido. E' molto vecchio, ma come tutti gli elfi sembrano giovani per tutta la durata della loro vita.

Skill richiesta: Agilità +1



BG APPROVATO - SKILL AGILITA' LIV. 1 APPROVATA



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