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Autore

HURANYEL

Ultimo Aggiornamento: 17/10/2014 16:43
OFFLINE
Post: 81
Età: 44
Sesso: Maschile
17/10/2014 16:43

Nome completo del PG

Huranyel Lossëmorna Boad

Clan di Appartenenza

Areldar

Età

140 anni (20 anni umani)

Allineamento

Neutrale puro

Punti Karma

550 pt

Background

Calde giornate di eterna primavera regnano incontrastate sulla magica isola di Avalon, perennemente nascosta al mondo dalle magiche nebbie, che l’avvolgono nelle loro misteriose spire. In questa terra leggendaria si aggira una giovane elfa dai lunghi capelli tinti di rosso fuoco alla scoperta dei luoghi meravigliosi e magici che la compongono. Quest’oggi, l’avventurosa esplorazione dell’isola ha portato la giovane Huranyel in un piccolo boschetto, non lontano dal molo in cui ormeggino i barcaioli, unico collegamento tra isola e terraferma. Un magico laghetto dalle acque cristalline si apre davanti ai suoi occhi glauchi. Seduta sulla riva, con i piedi immersi nella fresca acqua, rimira quel bellissimo paesaggio, unico nel suo genere, dimentica dei carboncini neri e del blocco da disegno dalla copertina in pelle marchiata a fuoco da un pentacolo, che giacciono in terra accanto a lei. Quel blocco di pagine bianche era un dono ricevuto dall’architetto Veneher Boad, che le fece da mentore in un passato non troppo lontano. Tanti ricordi suscitava quel semplice blocco da disegno. Ricordi di un passato che hanno forgiato la giovane elfa e che ora troveranno vita eterna, trascritti sulla carta di un piccolo diario donatole da sua madre, quando ancora era bimba, più di cent’anni fa. L’elfa, coccolata e cullata dal tranquillo boschetto e dal candido rimbombo della cascata, trova l’ispirazione per iniziar il racconto delle sue memorie. In poco tempo perde il senso di ciò che la circonda, poiché lo scrivere l’assorbe completamente. Così, assorta nel suo operato, viaggia con la mente nel suo antico passato.

“Il mio nome è Huranyel Lossëmorna, figlia di Alcartar ed Elbereth, ultima discendente degli elfi di Calydia. In molti si chiederanno il significato della mia nomea, così strana ma al contempo così particolare. Ebbene, Huranyel significa figlia dell’uragano. Fui chiamata così da mia madre, poiché nacqui in una notte di tempesta di metà Pethboc. Ma è bene che racconti la mia storia dall’inizio, ossia da poco prima di essere concepita.

Alcartar Lossëmorna, mio padre, era il comandante dell’esercito di Calydia. Era un uomo fiero e coraggioso, ma di basso ceto sociale, che si fece strada nell’alta società grazie alle onorificenze ottenute per i suoi meriti in guerra. Era ben visto e tutti avevano un’alta considerazione di lui. Elbereth Arracarn, mia madre, era la secondogenita di un nobile, appartenente a una delle famiglie più prestigiose e vicine al sovrano. Era un’elfa di unica bellezza e dal carattere solare. I suoi occhi porpora erano pieni di vita e non incrociarono mai quelli di altri elfi, fuorché quelli di mio padre. Il loro amore era unico e intaccabile … eterno.

Il loro incontro fu speciale e azzardato, poiché andò contro le usanze in vigore a Calydia, che vietavano agli elfi di basso rango di rivolger parola a quelli dell’alta nobiltà. Usanza antiquata divenuta regola per tutti gli abitanti del regno.
Una mattina, come di consueto, mio padre era di ronda nel quartiere delle botteghe artigiane. Tutto era tranquillo: nessun furto era avvenuto e nessuna rissa era ancora scoppiata. Camminava pacificamente lungo la via principale, quando vide uscire dalla bottega del sarto una bellissima elfa dai lunghi capelli castani, scortata da un’inserviente. I loro sguardi s’incrociarono per un attimo. Mio padre ebbe l’ardire di rivolgerle parola «Quel re cherinya. Nál valda lá Inisil ar lá Eleni ya cáltar Menldë i lóme. I essenta lamya lissë ar istarya, ve i lírë lómelindeva a merenyël lamata, alcar Onna helin hendivar. Ma lavale ta racianna?». * Mia madre sorrise con gli occhi, pieni di ammirazione per quel coraggioso elfo. L’inserviente si parò davanti a mio padre brandendo una daga elfica e nascondendo dietro di sé la sua signora. «Manen veryanël quetenna cheri Elbereth, ochtayaro únosse? Lelyaro men, epe ya nyë cars umtyáve ëao nost»** disse imperativo l’elfo gradasso. Mio padre sollevò un sopraciglio, sbuffò e si allontano volgendogli le spalle, mentre lo salutava ironico con la mano destra. Da quel giorno per mio padre non esisté nessun altra elfa oltre a mia madre.

Passarono quattro anni prima che il destino decidesse di farli ritrovare nuovamente. Mio padre era partito per una pericolosa missione: riportare al re una preziosa gemma di rubino rubatagli dai nani delle montagne oscure. L’esito positivo della missione, gli portò grandi onori, oltre alla possibilità di sposare la primogenita di un nobile. Una gran festa fu allestita nel salone da ballo della reggia e in tal occasione mio padre dovette far la sua scelta. Vi erano elfe di alto rango, bellissime ed eleganti, una più raffinata delle altre. Tra tutte loro spiccava una sola: mia madre. «Cilmnën. Indisnya oirale nauva Cheri Elbereth» *** disse mio padre a gran voce, stupendo tutti gli astanti. Nessuno si aspettava, che lui avrebbe scelto una secondogenita. Mio nonno fu entusiasta e acconsentì di buon grado, poiché poteva dare mia zia in sposa a un altro nobile del regno e non a un uomo d’arme di basso ceto sociale, seppur molto stimato dal re.

Il loro matrimonio fu semplice e segui le regole religiose della concatenasse elfica. Il loro giuramento d’amore, davanti all’altare di Eru, fu unico e nessun’altro lo eguagliò mai. (Così mi raccontò mia nonna Elen). Le parole esatte pronunciate da mio padre furono «Nál erya noaya cuivieo. Nál i nat lá idravinya ya haryan. Vanelya, ánin, nauva enda ar hendinya la tiruva vui, pella len. Sanwenya nauva aman oi ar er len. Macarya varnuval. Melmenya uruval. Met aquaco ar nar oio. I mëlva ná a melme enda, ya umin húmë macari ar húmë machtai lertar terchat. Tyë ná ar nauva oi vessenya. Nyë mi órelya, tyë mi nya.».**** Dal loro grande amore fu generata una pargoletta, bella e candida come la luna, vivace e allegra come il sole, irrequieta come un uragano. Quella piccola elfa ero io. La nostra vita scorse felice e tranquilla, fino a quando la guerra non busso alle porte di Calydia. Guerra che separò la mia famiglia, portando mio padre lontano da casa, sui campi di battaglia.
Gli umani del regno limitrofo ci attaccarono assieme ai nani, allo scopo di derubarci di tutte le nostre ricchezze. Erano convinti che nascondevamo tonnellate d’oro nella nostra capitale, ma così non era. Fu una guerra orribile e lunga, che devastò il popolo e il regno elfico. Mio padre giudò l’esercito riuscendo a fermare l’avanzata nemica, ma poi venne ucciso in un ignobile agguato.
Io e mia mamma ci eravamo nascoste nel cuore della foresta, in una piccola casetta ricavata dal tronco concavo di un enorme quercia secolare, le cui fronde svettavano al di sopra di tutti gli altri alberi. Vivevamo tranquille e al sicuro, protette dalla natura che ci circondava. Era un’oasi di pace e serenità. Nessun nemico giunse mai fino alla nostra abitazione. L’idea, che nella foresta vivessero degli spiriti maligni, teneva lontani gli umani e i nani.

La notizia della triste dipartita di Alcartar giunse qualche mese dopo il nefasto evento. Fu un fulmine a ciel sereno. Ero solo una bambina di 5 anni, ma ricordo nitidamente che mia madre pianse per sette giorni e sette notti. Il suo grande amore le era stato portato via ingiustamente da una guerra insensata, voluta da quelle razze effimere ed egoiste degli umani e dei nani. La sofferenza le riempì il cuore e l’anima. Tutto cambio. Lei non fu più la stessa Elbereth, che avevo conosciuto fino a quel momento. Il dolore l’aveva ferita profondamente, spezzandola. Mai si riprese del tutto da quella orribile notizia. Iniziò ad essere meno cauta, quando si avventurava nei villaggi elfici, ancora liberi, in cerca di cibo. Non incolpo mia madre di nulla, ma questo comportamento segno il destino di entrambe.

Era un giorno di primavera. L’aria trasportava con se il profumo dei fiori e della natura, che si stava risvegliando. L’erbetta verde rallegrava i dintorni della casetta in cui vivevo. Gli uccellini in amore cantavano allegri. Mia madre era di buon umore. Era uno di quei pochi giorni in cui la vedevo serena e in pace. Stavo giocando dietro casa, quando mia madre mi chiamò. La seguii in cucina e mi sedetti al grande tavolo di noce, accanto a lei. «Yenya, nyë ista ya métimavë úmen témas farea, nan tyë mela endo. Merenyen car ananna yo ta pitya anna» ***** asserì seria e mi diede un pacchetto. Io non avevo nulla da perdonarle, ma per farla felice risposi «Amil, leperinco. Inyë tye mela». ****** Scartai il pacchetto e dentro trovai questo diario, su cui sto vergando la storia passata della mia vita per non dimenticare. Sembrava una giornata perfetta, ma non fu così.
Stavamo parlando di molte cose, incluso mio padre, quando sentimmo dei rumori fuori dalle mura della casetta. Mia madre si affacciò alla finestra e pallida in volto tornò da me. Mi afferrò per le spalle e mi disse « Á Usina. Lercalyë lá háya ya lertal. La carl mapa. Lelyal Dresdann, onóronyava Gutbrush ar antalyet ta. So sairauva ya tyë ná yenya ar onónerya. Sí, á lelyal». ******* Era spaventata e mi trasmise una forte ansia. Mi diede la fibia del suo mantello su cui vi era un simbolo araldico. Ero piccola e avevo paura. Uscii dal retro della casa e corsi via, verso sud. La vegetazione della foresta mi inghiotti. Sembrava che mi capisse. Pareva cercare di proteggermi e di nascondermi. Sentivo che parlava con me. Quella notte dormii alla diaccio e il giorno dopo ripresi il cammino senza sapere dove stessi andando. Non seppi più nulla di Elbereth. Credo, anzi ne sono fermamente convinta, che lei sia stata uccisa, come mio padre, da alcuni soldati dell’esercito nemico.

Camminai per molti giorni, fino a quando mi imbattei in un’anziana signora. Per mia sfortuna era un’umana, ma questo fece anche la mia fortuna. La donna era un po’ miope e non si accorse delle mie orecchie a punta. Mi portò con sé a Krasmand, la capitale del regno degli umani, dove gestiva un orfanotrofio. La donna, Madame Rebent, mi tratto bene e non mi fece mancare mai nulla; mi insegnò la lingua degli umani, perché non parlavo ed era convinta che fossi ancora troppo piccola per poterlo fare. Non capì mai che ero un elfo. In mezzo a loro mi sentivo a disagio e stavo sempre in disparte, tenendo le mie orecchie ben camuffate tra i capelli o coperte da un fazzoletto azzurro di seta, che tenevo sempre in testa. Ho visto tanti piccoli umani arrivare nell’orfanotrofio e dopo poco tempo andarsene. Per me non fu così. Rimasi lì fino al compimento dei miei 16 anni. Nessuno mi voleva perché ero quello che ero. Agli occhi degli umani era chiaro che ero diversa, ma non era così per la vecchia donna.

Un giorno d’inverno, la fortuna decise di affacciarsi alla finestra della mia triste e solitaria vita. Il cielo era uggioso. L’odore della pioggia si espandeva ovunque nella grigia città umana. Si udiva solo il vociferare stridulo di quegli esseri frettolosi e di tanto in tanto il gracchiare arcigno dei corvi neri. Tutto preannunciava l’ennesima giornata noiosa, da trascorrere nella mia stanza guardando fuori dalla finestra quella coltre plumbea di nubi. Ma qualcosa cambiò tutto questo. Un uomo di bell’aspetto,alto e robusto, con i capelli neri, venne all’orfanotrofio. Guardò tutti i bambini presenti. Io non mi avvicinai a lui. Tanto sapevo già che non era lì per me … per un elfa orfana. L’uomo scomparve dietro la porta dell’ufficio amministrativo. Dopo una buona mezz’ora, Madame Rebent venne da me con un gran sorriso sulle labbra «Mia cara Huranya, finalmente hai trovato una casa. Monsieur Boad Veneher ti vuole portare con sé. Fai i bagagli.»
Quella notizia fu un raggio di sole in un buio spesso e profondo. Avevo paura. Mi domandavo come mai un umano avesse scelto proprio me.

Monsieur Boad mi portò nella sua modesta dimora, situata in piena campagna. Mi diede una stanza tutta per me, rammaricandosi del povero e scialbo mobilio. Non era in stile elfico, ma almeno era tutto mio. L’uomo mi portò a lavorare in città, nel suo studio. Era un architetto di grande fama della capitale. Gli facevo da garzone e da faccendiere. Ogni volta che uscivo si raccomandava di coprire le mie orecchie, perché ne andava del suo nome. Ubbidivo. Infondo glielo dovevo, perché mi aveva liberato da quella prigione che era l’orfanotrofio, dandomi una casa.

Una sera, a cena, presi coraggio e gli domandai «Monsieur Boad, come mai avete scelto me?»
«Eri la più grande e mi serviva un aiuto allo studio.» rispose lui.
«Voi sapete che sono un areldar, giusto?»
«Sì, che lo so.»
«Allora, perché avete scelto proprio me?»
«Te l’ho già detto, ragazzina.»
«Non sembravate sincero. Ditemi la verità.»
«Credo, che questa sera non mi lascerete in pace fino all’ora di coricarsi»
«Voglio sapere.»
Lui mi fissò negli occhi con uno sguardo intenso e molto penetrante. Sembrava quasi leggermi l’anima. «Tu, ragazzina, non ti sei accorta proprio di nulla. Io non sono un umano, ma un mezzelfo. Anche se non ho le orecchie a punta, lo sono. Per gli umani sono uno di loro, visto che non vedono più in là del loro naso. So cosa hai provato, in tutti questi anni di solitudine passati nell’orfanotrofio, e ho deciso di alleviare le tue sofferenze. Ora, spero, che tu sia soddisfatta.»
«Un mezzo? Voi siete un incrocio? Non l’avrei mai detto. Comunque vi ringrazio di tutto» dissi alzandomi da tavola e andandogli in contro. Lo abbraccia e gli sussurrai «Siete il mio salvatore. Vi voglio bene»
«Huranyel, chiamatemi solo Veneher.»
«No. Vi chiamerò babbo»
Mi ricordo questa conversazione così bene, che mi pare sia avvenuta soltanto oggi. Quel mezzelfo divenne il surrogato dei miei genitori. Mi reputo davvero fortunata.

Il mio padre adottivo mi insegnò a leggere, a scrivere e a far di conto, poi mi tramandò il suo mestiere. Lentamente imparai a disegnare, con l’ausilio di una stecca di legno, le piantine delle abitazioni o degli edifici da costruire. Poi imparai a farlo a mano libera. Questo stupì Veneher, poichè i miei progetti erano perfetti, senza sbavatura alcuna. In me nacque un forte interesse per le arti, con particolare attenzione per la pittura. Quando non ero allo studio, andavo sulla collina dietro casa. Mi sbizzarrivo a ritrarre il paesaggio e ogni cosa che vedevo. Inizialmente, il mio tratto non era perfetto e nemmeno pregiato. Le sbavature erano all’ordine del giorno, ma con l’esercizio migliorai gradualmente. Quando fui abbastanza brava, ebbi l’onore di ritrarre il mio babbo. Quel ritratto, così perfetto e così somigliante, lo tenni con me per ricordo e tutt’ora l’ho qui con me. Fu il mio primo ritratto e ne vado fiera. Iniziai a leggere molti libri sull’argomento, apprendendo nuove tecniche come l’acquarello, ma prediligevo il carboncino e i gessetti colorati.
Disegnare era diventata la mia vita e la mia anima.
Babbo spese parte dei suoi risparmi per mandarmi a studiare pittura e architettura nelle terre italiche e franche. Ho avuto l’onore di conoscere e lavorare al fianco di grandi artisti, imparando l’arte dei dipinti e degli affreschi. Ero immensamente appagata. Finalmente avevo scoperto cosa fosse la felicità, anche se ero sempre costretta a nascondere la mia razza.
Quando tornai a casa, ero pronta per rilevare lo studio del babbo ed entrare nella loggia dei costruttori, ma così non fu. Veneher si ammalò gravemente. Dovetti vendere lo studio per farlo curare. Tutto ciò non valse a nulla, perché morì lasciandomi nuovamente sola al mondo. All’epoca avevo solo 60 anni. Ero ancora giovane, troppo giovane e ingenua. Cercai di aprire uno studio di pittura, ma a Krasmand non c’era posto per una come me, un areldar.
Ero disperata e sola, ma nella mente mi baluginarono le ultime parole di mia madre **vai da mio cugino a Dresda**. Mi feci forza e partii, lasciandomi alle spalle la casa del mio babbo.

Giunta a Dresda, chiesi informazioni sul cugino di mia madre. Le indicazioni ottenute mi portarono a palazzo, ma lì ebbi un’amara sorpresa. Il cugino non viveva più lì da molti anni. Mi sentii ancora più sola, lontana dalla mia terra natia. L’unica fortuna consisteva nel fatto che stavo tra i miei simili. Anche qui tentai la fortuna: aprii un mio studio di pittura e architettura. Le cose andarono bene per un po’. Studiai a lungo l’arte e l’architettura elfica, imparando nozioni più complesse di quelle che mi aveva insegnato Veneher. Diventai una vera esperta in materia. I miei quadri andavano a ruba. Il mio tempo libero lo passavo a disegnare. Era tutto perfetto, ma poi i clienti vennero a mancare. Nessuno mi fu d’aiuto, perché ero una straniera ai loro occhi e non si fidavano. Persi tutto e decisi di partire.

Nel frattempo, avevo continuato le ricerche sul cugino di mia madre, senza alcun esito concreto. Un giorno, però, la fortuna mi baciò nuovamente. Incontrai uno strano uomo, molto pallido ed esile. Pareva quasi un morto che cammina. Eppure era lì, davanti a me. Aveva denti canini più lunghi del normale, ma pensai che fosse solo una deformazione fisica. Egli mi parlò di Avalon, un’isola magica avvolta dalle nebbie e dalla leggenda. Mi disse «Mi è giunta voce, che molti anni fa, Elendil Guybrush, sia stato avvistato su una nave in partenza per la Bretagna. Molto probabilmente è andato in cerca di una magica isola chiamata Avalon. Ci sono molte leggende attorno a questo misterioso posto. Se tuo cugino non è tornato, allora l’avrà trovata. E ne sono felice.» un ghigno isterico seguì quelle parole. Quell’uomo era davvero singolare.

Seguendo le indicazioni dello strano uomo, giunsi in Bretagna a Londinium, dove rimasi per qualche tempo. Mi mantenni grazie ai miei splendidi disegni e alla mia arte. Li nessuno sapeva dove fosse l’isola di Avalon. In molti mi diedero della pazza, ma poi accadde l’impensato. Incontrai una donna che disse di provenire proprio dalla misteriosa isola. Lei mi spiegò come raggiungerla e … ora sono qui. Spero vivamente di trovare il cugino di mia madre per potermi ricreare una famiglia.

Gli umani e i nani distrussero la mia vita da bambina.
Gli umani, inconsapevoli, mi accolsero.
Un mezzelfo mi fece da padre.
La mia vita tornò a sorridere, per poi cadere in nuova sofferenza.
Avalon sarà nuova speranza per me.
Una nuova via e una nuova vita mi attendono.
Mai dimenticherò le sofferenze provate e mai mi affiderò a un umano o a una nano.
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.”

Conclusa la trascrizione delle sue memorie, la giovane areldar chiuse il diario e si rese conto che la notte era calata. Raccolte le sue cose, si alzò in piedi e si avviò verso la città per cercare un giaciglio, dove riposarle sue stanche membra.



Traduzione frasi

* Buongiorno milady. Siete più bella della luna e delle stelle che brillano nel cielo rischiarando la notte. Il vostro nome suonerà dolce e magico come il canto di un usignolo e vorrei sentirlo, splendida creatura dagli occhi porpora. Mi concedete tale onore?

** Come avete osato rivolger parola a lady Elbereth, soldato senza casata?Andatevene prima che io vi faccia pentire di essere nato

*** Ho scelto. La mia sposa per l’eterno sarà lady Elbereth.

**** Tu sei la mia unica ragione di vita. Tu sei la cosa più preziosa che ho. La tua bellezza, per me, sarà eterna e i miei occhi non guarderanno altro, oltre te. I miei pensieri saranno dedicati sempre e solo a te. La mia spada ti proteggerà. Il mio amore ti riscalderà. Noi due ci completiamo e siamo l’infinito. Il nostro è un amore eterno, che nemmeno mille spade e mille guerrieri potranno distruggere. Tu sei e sarai per sempre mia moglie. Io nel tuo cuore, tu nel mio

***** Figlia mia, lo so che ultimamente non ti ho seguito abbastanza, ma io ti voglio un bene dell’anima. Mi voglio far perdonare con questo piccolo dono

****** Mamma, non ti preoccupare anch’io ti voglio bene

******* Scappa. Fuggi più lontano che puoi. Non farti prendere. Vai a Dresda da mio cugino Guybrush e dagli questo. Lui capirà che sei mia figlia e sua parente. Ora va


Descrizione fisica

Huranyel, giovanissima e bellissima elfa di 140 anni, nacque il dodicesimo giorno di Pethboc durante una notte tempestosa.
L’areldar è alta cm 180 e pesa Kg 60. I lunghi capelli lisci giungon oltre metà schiena e sono biondi come l’oro, ma ella preferisce tingerli di rosso porpora per differenziarsi dai suoi simili. Gli occhi color verde acqua sono grandi e molto espressivi. Il viso allungato, dai dolci lineamenti, è molto espressivo. Due lunghe orecchie a punta spuntano tra i capelli. Il suo corpo è longilineo e asciutto, tipico di una giovane areldar dedita allo studio. La sua bellezza non ha confini e chiunque la guardi potrebbe restarne estasiato.

Descrizione caratteriale

Huranyel è vivace, irrequieta, poco espansive e chiusa in sé stessa. Ama l’architettura e l’arte sotto ogni sua forma, con particolare predilezione per la pittura. Sente una forte comunione con la natura attorno a lei e che l’ha protetta in uno dei momenti peggiori della sua vita: la fuga. Le sue “effusioni” d’amore sono molto rare e dedicate solo a persone molto speciali; le uniche persona a cui disse “ti voglio bene” furono i genitori e il padre adottivo. Non si fida facilmente degli esseri umani e dei nani; risulta sempre sospettosa verso di loro e non si lascia abbindolare da semplici parole … lei vuole i fatti e vedere le cose. Dura e dolce come la cioccolata, Huranyel fu temprata dal suo triste passato che non l’abbandona mai.

Abbigliamento e oggetti posseduti

Huranyel indossa un bellissimo e lungo abito tipico delle dame dell’epoca, di pregiata fattura elfica, stretto in vita da una cintola dorata. Il tessuto con cui è realizzato l’abito è la seta rossa. I decori son realizzati con un sottile filo d’oro. Le scarpe, prive di tacco sono semplici e di colore rosso (link immagine: ). Oltre a tale abito, ne ha uno meno femminile, composto da: un paio di pantaloni in pelle nera, molto aderenti; un corpetto nero molto aderente da portare sopra la camicia; una camicia bianca, un paio di guanti di pelle nere e un paio di stivali neri con il tacco (link immagine: ).

Huranyel ha con sé alcuni oggetti di gran valore affettivo:
1) Il ritratto di Veneher Boad, fatto da lei
(link immagine:http://i40.photobucket.com/albums/e206/Huranyel/RitrattodiVeneherBoad_zps1109c530.gif)
2) Il quaderno da disegno con un pentacolo marchiato a fuoco sulla copertina di pelle, dono del suo padre adottivo
(link immagine: i40.photobucket.com/albums/e206/Huranyel/Bloccodadisegno_zpsabd7... )
3) Un carboncino nero e un gessetto bianco. (
link immagine: i40.photobucket.com/albums/e206/Huranyel/Carboncinigessetti_zps2c42... )
4) Il diario regalatole dalla madre
(link immagine: i40.photobucket.com/albums/e206/Huranyel/diario_zps9023b...
5) La fibia da mantello con sopra inciso un simbolo araldico
(link immagine: i40.photobucket.com/albums/e206/Huranyel/Fibuladamantello_zpsa2f5... )
6) Un fazzoletto di seta azzurra.
(link immagine: i40.photobucket.com/albums/e206/Huranyel/fazzoletto_zps7cbd... )

Caratteristiche di Razza

Agilità: +2
Potenza: -1
Resistenza: -1
Metri per Turno: 6
Fattore taglia: 0
Estrema longevità
Immunità al sonno
Sangue elfico: Il sangue degli elfi, in quanto sangue di creature di vita e luce, risulta letale per i vampiri.
Arma preferita: spada e arco

Incanto di clan

Luce di Varda (Luce di Vita)

L’Elfo ha la capacità di gestire, creare e muovere fonti di luce, come un essenza luminosa pulsante, o di utilizzarla per difendere sé stesso.

Livello 1
Capacità di creare luce per illuminare la zona come se si disponesse di una torcia (6 metri di raggio), la luce sarà una sfera luminosa che l'Elfo potrà muovere a piacimento fino ad una distanza di 5 metri da sé.

Concentrazione 3 round, durata 4 round.

Capacità di razza

Fermezza di Aulë (passiva)

La mente di un Elfo è antica e disciplinata, e le sue convinzioni sono talmente radicate che risulterà molto difficile riuscire a controllarle attraverso arti magiche o il semplice uso della dialettica. Abilità comuni non hanno effetto, se usate con l'intento di dissuadere un Elfo dal compiere la sua volontà.

Livello 1

50% di possibilità di resistere.

Sensi Sviluppati (passiva)

I sensi degli Elfi si rivelano essere assai più sviluppati e fini rispetto a quelli delle altre creature. Il loro udito permette loro di percepire fruscii, bisbigli e rumori di diversa natura, per quanto leggeri siano; in condizioni sonore disagevoli questa abilità ha un raggio d'azione da intendersi non inferiore a 30 metri. La loro vista è assai più acuta di quella degli Umani, cosa che consente agli Elfi di avere una maggiore efficacia in azioni come, ad esempio, il mirare. Il loro olfatto consente l'individuazione di odori anche poco forti, e il discernimento della loro fonte qualora la si sia incontrata almeno una volta.

Visione Crepuscolare (passiva)

Resistenza Magica (passiva)

La natura magica degli Elfi conferisce loro, col passare del tempo, e in misura sempre crescente, una sorta di protezione naturale contro le aggressioni di tipo magico. La magia naturale subirà sempre un decremento del 50%, mentre quella divina non può essere contrastata. Gli incanti di magia arcana subiranno un decremento degli effetti secondo quanto segue:

Livello 1

Nessuna protezione

Abilitàdi razza

Sussurro di Manwë (attiva)

Possibilità di stabilire un contatto mentale con le diverse creature che abitano le terre emerse. È possibile inviare un messaggio telepatico a qualsiasi creatura indipendentemente dalla razza di appartenenza. Interagire in maniera biunivoca sarà possibile solo con coloro che possiedono questa stessa abilità. Sarà inoltre possibile per l'Elfo il percepire sensazioni venendo a contatto con la mente dei PG cui l'interazione è destinata; le sensazioni percepite saranno unicamente tali, e non sarà quindi possibile individuarne la causa o le conseguenze che queste potrebbero portare nel comportamento del PG interessato.

Il messaggio è inviabile ad una creatura distante massimo 20 metri ed è necessario il contatto visivo tra i due.

Non funziona con i non-morti, nani, mannari in forma krinos e i draghi. Questi ultimi possono, nel caso, accettare o meno il contatto mentale a loro scelta.

Manto di Yavanna (attiva)

Gli Elfi, essendo nati e avendo sempre vissuto nelle selve, hanno sviluppato nel corso dei secoli
una forte legame con i boschi e la Natura, di cui rispettano le leggi. Ella in cambio ha sempre offerto loro aiuto e protezione, garantendo loro di celare le loro sembianze negli ambienti naturali, di camminare sull'erba fresca e sui sentieri battuti senza far alcun rumore né lasciare tracce (escluse superfici incantate), di orientarsi agevolmente nelle selve, di interpretarne i segni e le tracce e di riuscire a stabilire un contatto empatico con l’ambiente che li circonda, al fine di percepire le sensazioni della natura circostante, semplicemente sostando nel luogo o toccandone gli elementi...i risultati potranno essere semplicemente sensazioni emotive, fino ad arrivare a brevi immagini mentali.

Tale potere ha una percentuale di base di riuscita pari al 30% incrementabile in base alla situazione, al luogo, al momento. Quindi un elfo potrà nascondere le proprie tracce, celarsi , muoversi silenziosamente, interpretare i segni solo in ambienti naturali.

Destrezza di Tulkas (attiva)

Gli Elfi sono addestrati nell’utilizzo di armi quali spada lunga elfica, arco e pugnale elfici, riuscendo ad avere una maggiore efficacia nel maneggiare tali armi. La sfera di influenza agisce sulla rapidità, sulla precisione e sulla potenza dei colpi sferrati. L'utilizzo di armi o armature non tipicamente elfiche porterà un malus da applicarsi ai parametri citati.

In termini di parametri numerici equivale ad un bonus di +10 quando utilizza una spada lunga o un arco.

Malus

Costituzione

Nonostante raggiungano altezze ragguardevoli, la loro costituzione resta esile, il che li svantaggia decisamente nei combattimenti corpo a corpo con altre razze più robuste. Tutte le ferite subite da armi contro un elfo hanno una maggiorazione di +10.

Ipersensibilità

L' avere sensi molto sviluppati vista e udito su tutti fa si che in presenza di suoni molto forti o di luci molto intense gli elfi avvertano un senso di disagio che può sfociare nel vero e proprio dolore fisico nei casi più estremi. Niente a che vedere con il rintoccare di una campana o il sorgere del sole. Con il possesso di Volontà Ferrea tale malus non sarà annullato, ma affievolito.

Tristezza

La malinconia del popolo elfico, che trasuda da ogni nota dei loro canti vespertini, affligge le anime degli Immortali che vedono il loro tempo scorrere lentamente per loro stessi, e velocemente per il resto delle cose. Le piante si appassiscono, e muoiono...le stagioni delle vite mortali si rincorrono, mentre tutto cambia e per loro permane immutato. La loro mente è facilmente corruttibile dalle sensazioni negative, e qualsiasi tentativo volto ad instillare tristezza e sconforto nel loro spirito sarà indubbiamente facilitato.

Skill da BG richiesta:

Espressività artistica (3 livelli)
il possessore di tale skill è in grado di mettere in atto opere d’arte di pregevole fattura, riuscendo a tramutare in realtà le visioni ed i pensieri che albergano nella propria mente. QUESTA SKILL HA DIVERSE SOTTOCLASSI: musica, pittura, scultura, disegno, canto. (tralascio poesia perché lì dipende troppo dall’abilità del giocatore) è possibile possedere più sottoclassi di questa skill, senza mai eccedere in nessuna il livello 3, come se in realtà fossero 5 skill separate tra loro. L’esercizio e l’aumento del livello in tale skill aumenta la pregevolezza del risultato finale. (ovviamente, il gradire o meno un’opera varierà in base ai gusti della razza, ad esempio, quel che per una fata è adorabile potrebbe non aver molto senso per un mannaro)

LIVELLO1 artista di strada, musico o bardo viandante. Opere di fattura mediocre, ma comunque gradevoli.

SOTTOCLASSE: disegno
BELFAGOR

Master descrittivo
Bellimbusto
Disintegratore di coscienza altrui
Il bello.
L'audace.
Lo sfrontato.
L'eroico.
L'incantatore.
L'imbonitore.
Lo spropositato.
L'ineguagliabile.
L'insormontabile.
L'innominabile.
Il canterino.
l'abajour
il potente
Il guerriero.
Le posate
Il pentolame.
il ghibellino
i carpazi
Lo spaccacuori
i l guelfo
Lo spaccanoci
Il martello e lo scalpello
Orazi e curiazi
pure li carpazi
Colui che è stato
che è
che sempre sarà


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